Thè all'amore di Annibale
- ladonnainnero
- 26 mar 2022
- Tempo di lettura: 5 min
Dovevo solo divertirmi quella sera, ma ero una donna, nel luogo sbagliato, al momento sbagliato.
«Stavi per caso venendo a casa mia tesoro?» chiese l’uomo ubriaco avvicinandosi a me.
Sentivo il suo fiato puzzolente, un misto tra whiskey e sambuca. Pensavo di cavarmela, era solo, ubriaco, ma poi vidi arrivare altri tre uomini che in coro commentavano quel nuovo vestito bordeaux che mi piaceva tanto, ma che desideravo non avere addosso in quel momento.
«Scopriti un po'!» urlavano.
Non riuscivo a gridare, non potevo scappare, pregavo che qualcuno mi aiutasse; li vedevo sempre più vicini, le loro mani cominciarono a sfiorarmi.
«Non penso che questa ragazza apprezzi quello che state facendo» esclamò una voce alle spalle degli uomini, mi sembrò un miracolo, una luce alla fine del tunnel.
«Chi sei? Ci stiamo solo divertendo!»
«Possiedo una pistola, non obbligatemi ad estrarla» rispose mettendo la mano sul fodero.
Uno degli uomini tirò fuori un coltellino dalla tasca, volevo avvertirlo, ma la mia voce era bloccata dalla paura, così mi voltai, gettandomi a terra pensando di potermi proteggere in qualche modo, l’unica cosa che sentii fu un urlo, poi un colpo di pistola e passi veloci che si allontanavano. Presi coraggio, mi voltai verso l’uomo che mi aveva salvata e vidi che sanguinava dal braccio sinistro: era ferito. Corsi verso di lui: «Casa mia è poco più avanti, vieni con me, devo medicarti»
Col braccio sano mi circondò le spalle, si alzò e camminammo verso casa. Una volta arrivati lo feci sedere sulla poltrona in salotto, presi il necessario per medicarlo: un asciugamano, il disinfettante e delle garze. Tornai nell’altra stanza dall’uomo e mi sedetti di fronte a lui con uno sgabello.
«Farà male» lo avvertii mentre bagnavo l’asciugamano con il disinfettante.
«Non è la prima volta, posso sopportarlo!»
Appena posai lievemente lo straccio sulla ferita lui scattò in avanti mettendomi una mano sulla coscia per dire di fermarmi, non la tolse subito e appena se ne rese conto la ritrasse dispiaciuto, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
«Scusami...»
Gli risposi con un sorriso, mi fece cenno di continuare e con il braccio buono si accese una sigaretta: «Posso? Mi fa sentire meno il dolore» spiegò.
«Nessun problema»
Dopo lunghi attimi di silenzio lui lo ruppe improvvisamente: «Perché eri da sola?»
«Ero ad una cena tra amici e gli unici non sposati hanno deciso di sposarsi stasera, ora sono l’unica non accompagnata, sola come un cane, poi diventerò la zia e non sarò mai invece la madre... Scusa... Mi sono lasciata un po' andare»
«Quindi ti sembrava la scelta giusta tornare da sola?»
«No, ma non potevo restare un altro secondo in quel luogo»
Calò nuovamente il silenzio, nel frattempo aveva finito di fumare la sigaretta e l’aveva lasciata sul tavolino.
«Tu perché eri lì?» chiesi.
«Mi sono trasferito in questo quartiere»
«E ti capita spesso di salvare donne come hai fatto con me stasera?»
«Fortunatamente no, ma sono contento di averlo fatto stasera»
Ci fu un lungo scambio di sguardi tra i miei occhi nocciola e i suoi azzurro ghiaccio. Misi gli ultimi strati di garza per fasciare la ferita affinché potesse guarire senza problemi.
«Grazie, te la cavi bene!» disse lui.
«Un po' di esperienza, niente di più, ce la fai a tornare a casa? Hai perso molto sangue»
«Mi sento debole, ma penso di farcela» cercò di alzarsi, ma appena in piedi un giramento di testa lo fece cadere nuovamente sulla poltrona.
«Resta qui, apro il divano letto»
Me ne andai prima che potesse rispondere, sentii il suo sguardo seguirmi finché non girai lungo il corridoio, presi dall’armadio ad angolo le lenzuola e tornai in salone, dove trovai il letto già aperto.
«Oh sai come funziona allora» affermai.
«Nella casa non ho ancora un vero letto, ma un divano come questo»
«Comunque mi chiamo Rachel, piacere»
«Noah»
«Vuoi qualcosa da bere? Pensavo di prendermi un the o qualcosa di più forte»
«Io sono sempre in servizio quindi un thè va più che bene, grazie Rachel»
Misi sul fornello il bollitore, Noah mi seguì fino alla cucina, si sedette su uno sgabello del bancone, gli passai una tazza e la scatola in cui tenevo tutte le bustine da thè.
«Zenzero e limone... Interessante!» commentò Noah.
«Sarò monotona, ma il thè classico rimane il mio preferito, mia madre me lo preparava in un modo speciale»
«Cosa aveva di speciale?» chiese lui.
«In realtà niente, tanto limone e il fatto che glielo avesse insegnato un ragazzo che l’aveva amata profondamente a suo tempo» mi persi nei ricordi di quando mia madre mi raccontava delle sue grandi storie d’amore.
«Che thè classico speciale sia allora!»
«Non ti assicuro nulla però»
Seguiva ogni mio movimento, mentre versavo l’acqua nelle tazze bianche, mentre tagliavo il limone a spicchi e lo lasciavo affondare nel thè.
«Ecco a te!» dissi allungandogli la tazza.
«E’ il momento della verità!» si portò la tazza fumante alle labbra, per un momento mi soffermai su esse: erano fine, screpolate, leggermente rosse e sanguinanti in qualche punto, forse a causa dello stress tendeva a mordersele eccessivamente.
«Speciale» disse.
«Davvero?» chiesi sorpresa.
«Assolutamente!»
«Grazie!»
«Si sente l’amore»
Iniziai a ridere per l’imbarazzo, lui lo capì e cerco di cambiare discorso: «Allora qual è il tuo sogno?»
«Vorrei aprire un bar tutto mio, mio padre ne aveva uno, ma per motivi economici non l’ha potuto portare avanti e l’ha dovuto vendere; così ora voglio riaprilo per me e per lui, un bar semplice e metterci quello che so fare meglio»
«I thè?» rise.
«Esatto! Tu invece?»
«Io partirò a breve»
«Oh... Dove andrai?»
«In missione, non so quando tornerò, non so se tornerò»
«Ed è questo il tuo sogno?»
«Servire il mio paese a volte è una sfida, ma è anche un onore»
«Quella ferita non sarà niente a confronto» dissi indicando il suo braccio.
«È stata una missione anche questa»
Sbadigliai, era notte fonda, il sonno cominciava a farsi sentire: «E’ molto tardi, vado a dormire, fa come se fossi a casa tua»
Stavo per andarmene quando Noah mi fermò: «Come si chiamava l’uomo del thè?»
«Annibale, perché?»
«Per sapere... Grazie Rachel, non passavo una serata così leggera da molto tempo, sei stupenda... Buonanotte!»
L’istinto in quel momento mi diceva di baciarlo, ma la ragione invece mi fermava, non volevo fare le cose di corsa, era giusto attendere, tutto sarebbe stato più bello fatto nei tempi giusti. Gli sorrisi: «Buonanotte Noah!»
Mi voltai, tornai in camera mia e appena mi ritrovai avvolta tra le coperte non mi risultò difficile crollare come un ghiro, lasciando il mio cuore in quel salone, a quell’uomo che mi aveva salvata.
La mattina dopo mi svegliai più riposata del solito, andai in salone sperando di trovare Noah, ma così non fu. C’era un bigliettino sul divano già chiuso e sulle lenzuola piegate: “Mi sono permesso di prendere una tua foto, così ogni volta che ti guarderò mi spingerai a sopravvivere. Non ti dimenticherò facilmente cara Rachel!”
Notai subito la cornice vuota e un sorriso nacque sul mio volto, anche per me sarebbe stato difficile dimenticarlo.
6 ANNI DOPO
«Posso avere un decaffeinato?»
«Certo, arriva subito!» risposi.
Ero riuscita ad aprire un bar tutto mio e avevo dato dei nomi specifici alle mie specialità. Mentre preparavo il decaffeinato alla ragazza, qualcuno di inaspettato fece il suo ingresso nel bar.
«Vorrei un thè all’amore di Annibale per favore»
Mi voltai: aveva i capelli corti, quasi rasati e gli era cresciuta la barba. Appena mi vide mise la mano in tasca e tirò fuori la mia foto intatta.
«Sono tornato»
«Non ti lascerò più andare via» gli dissi quasi sfidandolo.
«Non mi opporrò, era esattamente questo anche il mio piano»
Sorridemmo dolcemente e poi mi persi nuovamente nel suo sguardo.

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