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Recanati

  • Immagine del redattore: ladonnainnero
    ladonnainnero
  • 6 set 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 22 set 2021

Iniziò tutto con un viaggio a Recanati, dove nacque il poeta Giacomo Leopardi. Silvia era una ragazza alta, dai capelli lunghi e rossi mogano, gli occhi color nocciola con qualche sfumatura di verde e le labbra fine, era intelligente e creativa. Aveva una profonda e incondizionata passione per la poetica di Leopardi, sin da quando aveva assistito alla spiegazione del suo professore: lui era seduto sul bordo della finestra, guardava fuori, il silenzio incombeva all’interno della classe e poi cominciò a recitare “L’infinito”. Con occhi innamorati Silvia lo guardava e sentiva nel suo cuore ardere il desiderio dell’infinito che il poeta aveva immaginato oltre la siepe. Leopardi sentiva di non appartenere a Recanati, tanto da voler scappare. Silvia, invece, si sentiva in trappola in casa sua, che in superficie dimostrava amore e felicità, ma nascondeva dolore e ferite. Un giorno, per caso, le capitò l’occasione di poter visitare il luogo dove il poeta aveva vissuto, la sua prigione. Sapeva cosa aspettarsi da un paesino che aveva tormentato per anni il giovane poeta. Tutto era proprio come aveva immaginato: frasi di Leopardi in qualsiasi angolo della città, negozi e vie prendevano i nomi dalle sue poesie. Eppure il gobbo poeta non era mai stato visto di buon occhio, trattato male dai suoi pari, perché conosceva e riconosceva la realtà del mondo e della vita dell’uomo: vuota e superficiale. “Pessimista!” dicevano. Poveri illusi, avevano gli occhi per guardare, ma non vedevano realmente. Davanti all’ennesima citazione, Silvia si fermò: la sua poesia preferita. «Che fai tu, luna, in ciel?». lesse. Qualcuno continuò per lei: «dimmi, che fai silenziosa luna?». In quel paesino dimenticato da Dio, conobbe Giacomo, un ragazzo solare, vecchio dentro nonostante avesse 22 anni, alto, moro, con gli occhi scuri e le labbra fine. La madre gli aveva dato il nome proprio per il poeta, era cresciuto tra i versi e i pensieri di Leopardi. Per la prima volta Silvia si confrontava con qualcuno che non vedeva nel poeta il solito pessimista che insegnavano a scuola, ma vedeva un uomo ferito, un leone in gabbia. Silvia e Giacomo divennero amici di penna. Perché complicarsi la vita a spedirsi lettere quando si possiede uno smartphone? Se lo chiedevano anche loro, ma ad ogni lettera che arrivava sentivano il bisogno di dover rispondere. Era originale, speciale, qualcosa di mai visto, erano l’eccezione alla regola. I loro scambi non erano mai superficiali, non si scrivevano solo per noia o per gioco, ma per condividere una passione che li univa: la poesia. Giacomo mandava, insieme alla lettera, bozze di poesie scritte da lui, molto gradite da Silvia che, se poteva, cercava di dargli consigli costruttivi. Principalmente scriveva d’amore e la ragazza si illudeva del fatto che potessero essere per lei, tornava con i piedi per terra, ma subito partiva di nuovo, era una sognatrice. Nell’immaginazione vi è la cura per il malessere dell’uomo. La ragazza capì che non erano solo sogni, quando le arrivò una lettera del ragazzo e insieme una poesia: era una rivisitazione della poesia “A Silvia” in chiave romantica. Niente nostalgia di una vita non vissuta, niente morte e niente giovinezza perduta. Aveva scritto nella lettera: “Credo che questa nuova bozza dica tutto quello che voglio dire, spero di ricevere presto una tua risposta.” Silvia era spaventata, una relazione a distanza come prima relazione non era quello che desiderava, ma non voleva farsi abbattere, non voleva che le paure la incatenassero chiudendole il cuore. Rispose alla lettera, stavolta senza fare critiche alla poesia. Passarono un paio di mesi, tutto sembrava andare per il verso giusto, i due fidanzati erano riusciti a vedersi, avevano trovato un punto di incontro, fino ad ottobre. Quella giornata autunnale di ottobre non cominciò bene per Silvia, che ricevette una lettera dolorosa e inaspettata.


«Cara Silvia, Giacomo è morto. Lottava da anni contro un cancro. Quando ti ha conosciuta ho visto in lui un miglioramento. Dalla semplice sopravvivenza era tornato a vivere. Ti lascio di seguito le ultime parole scritte nel suo diario.


Silvia mi fa sentire vivo, non sento più il dolore, il mio paradiso è cominciato da quando ho incrociato i suoi occhi. Odio così tanto il fatto di doverla lasciare, ma so che se la caverà. È più forte di quello che vuole dimostrare.


I funerali saranno sabato, so che vieni da molto lontano, quindi io e mio marito capiremo se non potrai partecipare.

Ti ringrazio per ciò che sei stata per mio figlio. Un abbraccio forte.»


Le lacrime rigavano il viso di Silvia: perché lei non sapeva niente? Perché Giacomo non le aveva detto che una malattia lo avrebbe potuto portare via da un momento all’altro? Perché il mondo è così ingiusto? Perché un ragazzo così dolce e giovane doveva morire? Le salirono alla mente le parole di Leopardi nella poesia “A Silvia”:


O natura, o natura,


Perché non rendi poi


Quel che prometti allor? perché di tanto


Inganni i figli tuoi?


Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,


Da chiuso morbo combattuta e vinta,


Perivi, o tenerella. E non vedevi


Il fior degli anni tuoi;


Quel sabato Silvia riuscì a presentarsi al funerale, la perdita di Giacomo era un dolore per tutti, lui sarebbe rimasto nel cuore di molti, per la sua gentilezza, forza e per il suo coraggio. Finito il rito, tutti si congedarono, la madre di Giacomo le si avvicinò: <Sono sicura che questo dovresti tenerlo tu, è quello che vorrebbe mio figlio.> disse la donna porgendole un quaderno rivestito di finta pelle nera. Quelle pagine racchiudevano tutte le poesie del ragazzo. Silvia non riuscì a dire nulla, sorrise e si gettò tra le braccia della donna. Tornata a casa si mise al lavoro e in poco tempo riuscì a pubblicare quelle poesie. Giacomo non c’era più, ma le sue poesie sarebbero rimaste.



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