L'arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita
- ladonnainnero
- 22 set 2021
- Tempo di lettura: 2 min
A chi dobbiamo dare il merito di questo capolavoro? Ad Alessandro D'Avenia, un Professore con la P maiuscola.
Leggendo il sottotitolo ci penserete due volte prima di leggerlo, forse perché Leopardi non è visto di buon occhio, soprattutto dai noi giovai, a causa del suo pessimismo e anche dell'immagine che ci hanno dato di un lui: un uomo triste, solo, intrappolato e con la gobba.
Vi dirò, non vi fate spaventare dal titolo, perché questo romanzo cambierà la vostra visione di Leopardi e della vita in generale.
Quando chiuderete il libro per l'ultima volta, finalmente saprete la verità su Leopardi, che non è solo il pessimista che studiamo a scuola, ma un essere umano che combatte per raggiungere i suoi sogni e viene abbattuto dal mondo che lo circonda: vuoto e superficiale, non pronto a una profondità come quella del poeta.

Scoprirete anche che Leopardi era felice, penserete: "Felice? Ma non prendiamoci in giro!"
Io vi dico che invece era felice, perché faceva ciò che più amava, ciò che lo teneva in vita, ciò che lo faceva evadere da quella prigione che era diventata la casa paterna: scrivere.
Prima di leggere questo libro, ero molto distante dalla scrittura di D'Avenia, perché mia madre insisteva sul fatto che dovessi leggere i suoi libri, quindi per non darle soddisfazione non ne ho mai letto uno.
Fino ad arrivare all'anno scorso: quando mi è passato sotto le mani questo romanzo e appena aperto una luce abbagliante mi ha accecato... Forse la luce di Leopardi? O di quel professore che ama il suo lavoro e i suoi studenti? Probabilmente un miscuglio tra i due miei autori preferiti.
"Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un'arte della gioia quotidiana?"
Se vi ponete queste domande, vi servo la risposta su un piatto d'argento: leggete il romanzo.
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